Ci ha “lasciato” Banca d’Italia, ed improvvisamente il cielo è cambiato. Sono apparse repentinamente nuvole nere e cariche di pioggia, foriere di temporali con tuoni e fulmini.
Avevamo in mente le parole del management e della proprietà durante la riunione dei titolari dello scorso 24 novembre: parole di incoraggiamento, che evidenziavano una presa d’atto del percorso virtuoso intrapreso, seppur ancora con tanta strada da fare.
Dopo poche settimane da quella riunione, nel corso del mese di gennaio, in occasione della consegna dei budget alla rete si è ripetuta una “commedia degli orrori” dove gli attori principali, i vertici aziendali, hanno replicato con ancora maggior veemenza i noti toni del passato: arroganza, maleducazione, minacce, finanche sadismo.
In questo contesto, figure intermedie si sono anche rivestite del ruolo di novelle cassandre, minacciando in seduta pubblica scenari inquietanti, spingendosi anche alla lettura di articoli di legge sulle misure legate ai licenziamenti collettivi, senza averne la benché minima cognizione di causa né tantomeno il ruolo per poterlo fare. Qualcuno si è spinto anche a prefigurare trasferimenti coatti in assenza di risultati produttivi o ad affermare in maniera ipocrita “ora non c’è più l’articolo 18, quindi …..regolatevi”.
Questi “signori”, dei quali conosciamo nomi, cognomi e… reputazione, sappiano che saranno i primi dei quali “chiederemo la testa” semmai le loro incaute profezie dovessero malauguratamente avverarsi. Dio non voglia!
Che cosa è cambiato? Quali novità, in queste poche settimane trascorse dalla fine di novembre, hanno letteralmente stravolto lo scenario? Al di là della domanda retorica, tutti noi conosciamo bene la risposta e crediamo non sia un mistero per nessuno.
Il primo anno dell’attuale piano industriale poneva un obiettivo già molto ambizioso, pur trattandosi in concreto di un sostanziale pareggio; un traguardo al raggiungimento del quale tutto il personale si è dedicato con impegno. Appare chiaro che questo traguardo si è ora spostato molto più avanti.
Ancora una volta, fattori esterni obbligano a dover ripensare gli obiettivi: il piano industriale, che basa la propria filosofia di rilancio dell’azienda su una crescita dei ricavi (di difficile realizzazione) a fronte della sostanziale stabilità dei costi di struttura e dei livelli occupazionali, presta il fianco a nuovi “imprevisti”.
Ed è proprio alla luce dell’onerosità derivante da tali “imprevisti” che apprezziamo l’intervento della proprietà teso a fronteggiare l’aggravio della situazione patrimoniale e che ha consentito di realizzare un risultato dell’esercizio 2014 – seppur negativo – meno elevato di quanto preventivabile.
Ora però è necessario un sostanziale cambio di strategia che consenta alla banca di riappropriarsi di una capacità gestionale e reddituale non vincolata alla pesantissima zavorra delle sofferenze. Per tale ragione necessitano di approfondimenti le affermazioni dell’AD Cimbri secondo cui “Unipol seguirà, ed eventualmente parteciperà, alla possibile stagione di consolidamento del settore bancario solo con un’ottica di valorizzazione di Unipol Banca”. Dobbiamo leggere in tale affermazione che forse si sta rivedendo il piano, avallato dallo stesso AD alcuni mesi orsono di una banca “stand alone” ?
Le prossime settimane potranno forse chiarire alcuni dubbi ma, stando all’oggi, non possiamo più accettare che qualcuno tenti ancora di spacciare l’idea, per l’ennesima volta e dopo un decennio di analoghe smentite clamorose, che basterà agire con le nostre sole forze per ottenere, nell’attuale depresso scenario economico e data la situazione patrimoniale, quegli “sfidanti” risultati in termini di redditività necessari a garantire una “adeguata” gestione del bilancio.
La situazione che si è determinata in seguito alla verifica operata da Banca d’Italia e all’esito della stessa, indica chiaramente che ciò non è possibile: sono necessari interventi strutturati e finalizzati.
Ciò detto, stiamo constatando che se i ricavi faticano a crescere – come ci dice la realtà – comincia ad insinuarsi l’idea di spingere molto più pesantemente sulla leva del taglio dei costi. Cosa legittima se finalizzata a ridurre oneri impropri, ma pericolosa se portata alle estreme conseguenze di una contrazione dei livelli occupazionali.
Ci preoccupano e ci fanno riflettere, nello specifico, le affermazioni in libertà e le esplicite minacce (chiusura di numerose filiali e licenziamenti collettivi) formulate dal management in fase di presentazione dei budget, e non solo.
D’altro canto non possiamo non interrogarci su che cosa, in concreto, avrebbe realizzato l’attuale management per favorire il “processo” di crescita dei ricavi. Forse il nuovo layout degli uffici di direzione o l’accorciamento della “catena di comando”? Quali concrete attività sono state realizzate per far sì che le filiali non rimangano dei meri centri di disbrigo di pratiche burocratiche? Perché ci si rifiuta di prendere atto che con il personale numericamente ridotto “all’osso” risulta impossibile gestire già solo l’attività ordinaria amministrativa? Figuriamoci l’attività di sviluppo commerciale!
Così come in passato qualcuno si ostinava ad affermare che la massa di credito deteriorato non era per gran parte riconducibile a delibere di comitato crediti o superiori, mentre nei fatti lo è per oltre l’85%, oggi qualcuno si ostina a sostenere che in filiale ci sia “troppo tempo libero”.
Magari questo tempo potrà essere riempito per leggere le numerosissime e spesso farneticanti e-mail di soggetti che, a vario titolo, si preoccupano di ricordare ai colleghi della rete che “bisogna fare risultati”, che “siamo lontani dagli obiettivi”, che “saremo ritenuti responsabili degli sconfini concessi”, che potremmo anche essere ritenuti responsabili (e dover pagare personalmente) per la fame nel mondo, il buco nell’ozono e l’avanzata dell’Isis. Costoro, anziché scrivere e-mail, sarebbe meglio che esercitassero davvero il loro ruolo, che dovrebbe essere non notarile, come la stessa direzione dichiara, ma di supporto e affiancamento nell’attività commerciale!
Quale soluzione, allora, per favorire la crescita dei ricavi? Ma certo! “Liberare” ulteriori risorse dalla rete per indirizzarle esclusivamente all’attività di ricerca di nuova clientela, aumentando il numero degli sviluppatori: una figura volutamente flessibile e quindi strumentalmente non normata. E con buona pace per quelle filiali in cui si lavora con l’acqua ormai non “alla gola” ma “sopra la gola”!
Lo abbiamo detto infinite volte, e lo ribadiamo: non è con le minacce ed il terrorismo psicologico che si aumenta la produttività. Al contrario, con questi modi si deteriora il clima e si generano sfiducia, scoraggiamento e rassegnazione, tutti stati d’animo che affossano le aspirazioni di rilancio dell’azienda. Occorrerebbe invece la capacità di motivare e di trasmettere positività, oltre che nuove strategie e strumenti commerciali adeguati e una seria riflessione in termini di organizzazione e di organici.
Bologna, 12 febbraio 2015.
DIRCREDITO – FABI – FIBA/CISL – FISAC/CGIL – UGL – UILCA UNIPOL BANCA S.P.A.
ALLEGATO
Comunicato unitario