L’art. 19 del T.U. afferma che l’interruzione di gravidanza (volontaria o spontanea) va considerata a tutti gli effetti come malattia. Va tuttavia fatto un distinguo in quanto, come previsto dal DPR 1026/1976, qualora la gravidanza non si concluda con il parto, si delineano due ipotesi:
• se l’interruzione della gravidanza avviene prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione si considera aborto;
• se l’interruzione avviene dal 180° giorno dall’inizio della gestazione in poi si considera parto.
Per calcolare in quale ipotesi si rientra bisogna fare riferimento alla data del concepimento (che per convenzione si colloca 300 giorni prima della data presunta del parto), nonché al certificato medico che attesta in che mese di gestazione è avvenuta l’interruzione.
In considerazione di ciò:
• se l’interruzione avviene prima del 180° giorno si considera malattia e la dipendente può assentarsi dal lavoro solo il tempo necessario per il recupero delle condizioni fisiche per la ripresa dell’attività lavorativa (tale periodo va certificato dal medico) e le competerà solo l’indennità di malattia;
• se, invece, l’interruzione avviene dal 180° giorno di gravidanza in poi, l’evento si qualifica come parto e la lavoratrice avrà diritto all’astensione obbligatoria post partum e al relativo trattamento economico.
Nel caso di:
• interruzione di gravidanza avvenuta dal 180° giorno dall’inizio della gestazione in poi;
• decesso del bambino alla nascita;
• decesso del bambino durante il congedo di maternità;
la lavoratrice ha facoltà di riprendere in qualunque momento l’attività lavorativa, con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arreca pregiudizio alla sua salute (D. Lgs. 119/2011 art. 2).